Foto: Sabrina Corabi © Roberto Raisoni
Foto: cast di “Essere o non essere” © Francesca Padova
Foto: cast di “Essere o non essere” © Francesca Padova

Nella suggestiva Abbazia di Mirasole, Sabrina Corabi ha messo in scena il risultato di un laboratorio sul più controverso personaggio shakespeariano, accompagnato dalle musiche di Francesco Rampichini. Un’attrice e artista poliedrica che ha concesso un’intervista a Punto e Linea Magazine sulla genesi dello spettacolo e i suoi possibili sviluppi

Sabrina Corabi ha affrontato nel suo studio il testo forse più rappresentativo dell’intera opera di William Shakespeare, al punto da poterlo ritenere un manifesto della modernità. Scritto probabilmente tra il 1600 e il 1602, Amleto (The Tragedy of Hamlet, Prince of Denmark) è il dramma dialettico che più di ogni altro contiene alcuni fondamentali parametri di confronto con il nostro presente, sia dal punto di vista teatrale, sia nell’ambientazione, soprattutto per le sue connotazioni psicologiche e relazionali. Un classico che ha ispirato numerosi lavori teatrali e cinematografici, opere derivate che dimostrano l’attualità dei contenuti espressi dal bardo di Stratford-upon-Avon.

Essere o non essere prodotto da Theatrework, messo in scena domenica 10 luglio presso l’Abbazia di Mirasole, non è un adattamento e nemmeno il risultato di una diversa elaborazione dei contenuti, ma il frutto di un laboratorio sull’essenza e permanenza significativa del personaggio Amleto al di là di qualsiasi rappresentazione teatrale. Il corpo centrale testuale è dato da due monologhi, quello “per Ecuba” (atto II, scena 2) e dal celebre To be, or not to be (that is the question…) d’inizio Atto III, eponimo dello studio. Se il secondo è evocativo del celebre “dubbio amletico” sul vivere la sofferenza (essere) o combattere rischiando di morire (non essere), da molti interpretato come un’apologia del suicidio, il primo si richiama al ruolo dell’attore, che in questo caso rivive il pianto di Ecuba per la morte di Priamo, interpretazione che suggerisce ad Amleto la messa in scena della morte del padre per sollecitare la coscienza dello zio omicida. Un contesto drammaturgico che introduce il concetto di mise en abyme caro ad André Gide, ovvero quell’espediente narratologico che comporta la reduplicazione di una serie di eventi o di uno significativo dell’insieme. Un “doppio” che invece nel lavoro di Corabi si riconosce nell’essere Amleto, con la sua follia creativa ereditata dal buffone e mèntore Yorick, diverso per influsso emotivo e generato dalla diversità subcoscienziale.

L’impatto emozionale è il terreno su cui si manifesta l’azione scenica, per cui Amleto trova la sua rinascita in ciascun esegeta presente sul palco, individui anonimi che riflettono in sé l’identità del principe per rivivere in modo soggettivo le vibrazioni del contesto citato. Condizione che deve fare i conti  anche con il richiamo di Ofelia, presente in scena nell’epilogo della sua esistenza, un suicidio subordinato al comportamento misogino del principe e a seguito della pazzia scaturita dalla morte del padre Polonio. Presenza femminile che non può esistere senza Amleto, così come non si può immaginare la storia di Amleto senza la presenza di Ofelia con il suo sacrificio.

Un’esibizione che non può dirsi di rappresentazione, poiché esula dalla canonicità interpretativa per ritrovare nel precipitato alchemico (l’archetipo dello specchio) il codice elementale nella propria percezione sensibile. L’attore è annullato, vive il pathos, nella perpetua presenza di uno spettro dai connotati metateatrali.

Permanenza che le musiche di Francesco Rampichini sembrano avvolgere per generare la suggestione di un passaggio nella psiche di ogni spettatore, fenomeno che soprattutto nella parte finale dello spettacolo, quando gli interpreti transitano tra il pubblico per uscire di scena, contribuisce a generare l’effetto performativo di un fluxus sonoro, modificando la percezione e il punto di osservazione degli astanti con un’interazione più diretta.

Lo studio richiama una ricerca sul personaggio nei suoi effetti passionali, emotivi, senza impalcature, un lavoro trasparente nel suo comunicare uno stato viscerale. Un soggetto scenico che merita un approfondimento, opportunità conferitami dalla stessa ideatrice che mi concede un’intervista sulla genesi di questa realizzazione e i suoi sviluppi.

L’incontro con Sabrina Corabi avviene poco più tardi nel cortile della suggestiva Abbazia di Mirasole, dopo l’ingresso duecentesco e davanti al sagrato della chiesa costruita a cavallo tra XIV e XV secolo, dove si trova un’osteria. Decidiamo di sederci a un tavolo all’aperto e di conversare con un bicchiere di vino, da entrambi ritenuto un ottimo dispensatore di convivialità. Illuminati dal sole del tramonto, iniziamo davanti a due calici di buon Montepulciano d’Abruzzo la nostra conversazione.

Foto: Sabrina Corabi © Roberto Raisoni
Foto: Sabrina Corabi © Roberto Raisoni

Claudio Elli – Sabrina, ti rinnovo i miei complimenti per lo spettacolo. Hai messo in scena uno studio su Amleto evocativo del soggetto shakespeariano, una sorta di trasmutazione del personaggio in ciascuno di noi, in un impianto teatrale, non di rappresentazione, accompagnato da musiche coinvolgenti. Cosa ti ha suggerito questa iniziativa?

Sabrina Corabi – Il lavoro nasce principalmente dal desiderio di fare qualcosa di forte ed emozionante, e un autore come Shakespeare attraverso la complessità del suo linguaggio mi ha offerto questa possibilità. In realtà le mie regie nascono prevalentemente dai laboratori permanenti che tengo nel corso dell’anno, distribuiti su nove fine settimana. In questo studio, nato in effetti in soli tre di questi, ho voluto assegnare a ciascun allievo attore lo stesso ruolo, perché potesse emergere il lavoro svolto durante l’anno. Amleto vive una trasformazione forte nello svolgersi degli avvenimenti. L’idea di base era di far vivere la centralità del personaggio in ognuno di loro, utilizzandolo come moltiplicatore espressivo.

C.E. – Torniamo all’impianto musicale. A parte Masked Ball di Jocelyn Pook i brani sono tutte composizioni di Francesco Rampichini, un autore che, oltre a essere ideatore dell’Acusmetria, ha fatto dell’interconnessione tra suono e immagine una sua ricerca applicata a diverse discipline espressive, quali la danza e appunto il teatro. Cosa puoi dirmi di questo tuo sodalizio artistico?

S.C. – È stato un caso fortunato. Ho incontrato Francesco l’anno scorso all’Abbazia Mirasole, dove curavo la direzione artistica, e ancora prima della sua musica ho scoperto un uomo meraviglioso di cui mi sono innamorata, felicemente ricambiata. Poi, nella ricerca delle musiche di scena, ho trovato alcuni suoi brani perfetti per il lavoro che stavo svolgendo su Amleto, e credo che le sue musiche accompagneranno i miei lavori futuri.

C.E. – So che hai lavorato in passato con Armando Punzo presso la Fortezza di Volterra, un “inventore” teatrale di tutto rispetto, soprattutto per quanto riguarda la sensibilità (e, forse, la sensitività) degli elementi sociali e fisici che ci circondano. Quanto ha influito questa esperienza sulle tue scelte presenti?

S.C. – Molto, l’esperienza con Armando è stata per me un viaggio nel “non teatro” fatto di silenzi, sguardi, ascolto fino ad arrivare alla magia della messa in scena.

C.E. – Oltre ad Armando Punzo chi ritieni sia stato particolarmente rilevante per la tua formazione professionale e artistica?

S.C. – Ognuno dei maestri con i quali ho lavorato mi ha dato qualcosa, ma la mia esperienza di vita è la vera fonte dalla quale ho attinto e continuo ad attingere, perché questo è un “mestiere” nel quale non si finisce mai di imparare.

C.E. – Il tuo lavoro su Amleto è una tappa importante, ma che credo avrà dei risvolti altrettanto significativi. Che tipo di evoluzione hai in mente per questo studio?

S.C. – Questa è una cosa che valuterò a settembre quando riprenderà il laboratorio. Non escludo di poter lavorare su un approfondimento emozionale e uno sviluppo di un materiale che, come hai potuto vedere, ha preso già forma e direzione. Questo tipo di lavoro richiede molto impegno psicofisico e solo quando incontrerò nuovamente i “giovani” attori potrò definire come procedere.

C.E. – In passato hai fatto cinema, Tv e teatro di ricerca. In che direzione intendi riporre le tue aspettative future?

S.C. – In tutto ciò che ha un senso artistico. In questo momento prediligo osservare e dirigere gli attori attraverso la verità dell’emozione. Non escludo comunque di poter tornare in scena, se dovessi innamorarmi di un progetto teatrale, televisivo o cinematografico. Per quanto riguarda il teatro sto prendendo in considerazione la possibilità di avviare una nuova messa in scena. Ne parliamo più avanti, ovviamente davanti a un buon bicchiere di vino?

C.E. – Volentieri! Grazie intanto per aver concesso a Punto e Linea Magazine questa intervista e, direi, salutiamoci con un altro brindisi dedicato al tuo lavoro e il nostro prossimo incontro…

Dopo aver alzato di nuovo i calici ci lasciamo con la consapevolezza di un seguito a questo nostro primo appuntamento. La luna ormai alta illumina il selciato fuori dall’abbazia e il percorso che delinea sembra voler incontrare l’area boschiva che mi circonda, piena di incognite, al pari dei sentieri della vita forieri di segni, emozioni e coincidenze significative che soprattutto il teatro, nella sua sublimazione verso il mito, traduce in una nuova esperienza senza tempo. Non ultima, questa palingenesi della figura di Amleto che Sabrina Corabi ha saputo realizzare.

locandina_essere_o_non_essereTHEATREWORK presenta:

Essere o non essere. Uno studio sull’Amleto
Ideazione e regia di Sabrina Corabi
Musiche di Francesco Rampichini

Con (in ordine di apparizione) Alessandra Tagliabue, Rossana Giuffrida, Marcella Lamberti, Karen Perahya, Laura Benenati, Luca Urbinati, Marco Autelitano, Patrizia Bertocchi, Lucia Vinci, Giulio Locatelli

Opera, Milano, Abbazia Mirasole
Domenica 10 luglio 2022 ore 19,00