Foto: 90 minuti – Da sin. Ettore Distasio, Mauro Negri -Teatro del Simposio, Estate Sforzesca - Lunedì 10 agosto 2020
Foto: 90 minuti – Da sin. Ettore Distasio, Mauro Negri -Teatro del Simposio, Estate Sforzesca - Lunedì 10 agosto 2020
Foto: 90 minuti – Da sin. Ettore Distasio, Mauro Negri © Teatro del Simposio

Il Teatro del Simposio ripropone per l’Estate Sforzesca di Milano il lavoro di Antonello Antinolfi dedicato al calciatore e allenatore di origini ebree ungheresi Árpád Weisz, campione italiano ed europeo morto ad Auschwitz nel 1944, interpretato da Ettore Distasio e Mauro Negri con la regia di Francesco Leschiera

Pochi uomini nella storia hanno saputo interpretare il gioco del calcio come Árpád Weisz. La palla non rappresentava per lui lo strumento per l’esercizio di uno sport tra i tanti, basato sul virtuosismo di singoli individui. Al contrario, doveva essere il collettore per un gioco di squadra, dove la vanità del singolo è superata dall’interesse collettivo. Una virtù esercitata con disciplina morale, una forgia diversa da un’umanità sempre più vanagloriosa, che Árpád seppe tessere nei suoi calciatori. E, tra questi, molti campioni che vinsero gli scudetti di Inter e Bologna, nonché i mondiali del 1934 e 1938 (uno per tutti, Giuseppe Meazza). Dopo una serie fortunata alternata nell’Inter, divenuto Ambrosiana per volontà del regime fascista, fu emblematica la vittoria del terzo scudetto del Bologna sotto la sua direzione nel campionato 1935/36, che con soli 14 giocatori a disposizione, record mai eguagliato, pose fine al ciclo del primato della Juventus, oltre a quella dello stesso club che vinse a Parigi il prestigioso Trofeo dell’Expo 1937 contro il Chelsea battendolo per quattro reti a una.

90 minuti, scritto da Antonello Antinolfi, non è un lavoro teatrale celebrativo di un allenatore che ha saputo interpretare uno degli sport più popolari nel mondo, piuttosto la descrizione epica di una vittima del crepuscolo dell’umanità. La vicenda umana di Weisz, che dopo le leggi razziali dell’Italia fascista lo vide costretto a emigrare dapprima a Parigi e successivamente in Olanda, dove si impose in qualità di allenatore evitando la retrocessione del modesto Dordrechtsche battendo squadre importanti dell’Eredivisie come l’Ajax piuttosto che i campioni futuri del Feyenoord Rotterdam, si concluse con la perdita di diritti per sé e la sua famiglia a seguito dell’occupazione tedesca del paese dei tulipani, e l’arresto del 2 agosto 1942 per mano della Gestapo con destinazione Auschwitz. Lì, ormai separato per sempre dai suoi cari, trovò la morte il 31 gennaio 1944.

Lo spettacolo, già andato in scena a Milano nella scorsa stagione sul palco di Factory 32, è un affresco commovente dei fatti, interpretato da uno straordinario Ettore Distasio nei panni di Árpád Weisz e un altrettanto bravo Mauro Negri che lo coadiuva interpretando diversi ruoli significativi nella vita del protagonista, dal presidente del club bolognese a quello di compagno di sventura nel campo di concentramento nazista.

La voce di Distasio, sapientemente caratterizzata, rompe il silenzio del dramma e pervade l’anima dell’ascoltatore con una narrazione che vede la parafrasi umana intervallata da frammenti di quella saggezza espressa dall’azione sportiva, assumendo una levatura che potrebbe oggi paragonare la figura di Weisz sullo stesso piano di quella di Adriano Olivetti, per quella valorizzazione della virtù collettiva a cui ciascuno può e deve concorrere nel definire un bene comune. Le battute arrivano in tutta la loro concretezza, le parole espresse risuonano come vagiti di una dimensione culturale che supera qualsiasi avversità pur nella consapevolezza della fine. Efficace l’intuizione registica di Francesco Leschiera nel vestire nella parte finale Mauro Negri con i panni di coreuta, in quanto testimone oculare, come Orazio, di un episodio della tragedia umana di cui è stato involontario spettatore.

Una tragedia che, attraverso l’eugenetica e inquietanti proclami cosmo terapeutici, rischia nel presente di duplicarsi in maniera diversa. Anche qui sta la grandezza di questo testo, nel non dimenticare come facilmente da persone si diventa numeri, carne da macello piuttosto che sacrificabili oggetti di sperimentazione.
Uno spettacolo della memoria che può servire da monito, per ricordarci come qualcosa di simile alla Shoha può, inaspettatamente, bussare alle porte di una nostra pretesa e raggiunta normalità, chiudendoci in cul de sac senza più alcuna via di scampo.

Giudizio: ****

ESTATE SFORZESCA

Produzione Teatro del Simposio

90 minuti di Antonello Antinolfi
Liberamente ispirato a una storia vera

Con Ettore Distasio e Mauro Negri
Regia di Francesco Leschiera

Assistente regia: Serena Piazza
Scene e costumi: Paola Ghiano e Francesco Leschiera
Luci: Luca Lombardi
Elaborazioni e scelte musicali di Antonello Antinolfi
Grafica: Valter Minelli

Milano, Castello Sforzesco, Cortile delle Armi
Lunedì 10 agosto 2020 ore 21,30
Sito: Teatro del Simposio